venerdì 27 aprile 2012

la sala da tè


C’è ma non si vede:
prurito sopra un piede.
Si vede ma non c’è:
la mia sala da tè.

La sala che non ho,
la presto e dopo un po’,
mi torna tutta intera
con tanto di teiera.

Ma quella teiera
vi dico non c’era,
nemmeno i biscotti
le tende i cappotti,

non c’era la stanza
non c’era abbondanza,
non c’era la cera.
"Cerata, si spera."

"Cerata, di certo.
L’ho chiuso e l’ho aperto".
“Cos’era?” “Il mio sogno!”
Ce n’era bisogno!

lo sguardo del tuttologo


Un tuttologo e un qualcosologo
andarono entrambi dallo psicologo:
“possibile che sappia proprio tutto?”
“possibile il tempo sia sempre brutto?”

E lo psicologo, costernato,
li mandò a passeggiare in un prato.
Era un pratino verde piccione,
e si sedettero su un maglione

(perché gli mancava una coperta;
l’avessero avuta, l’avrebbero aperta).
Ma quello era proprio un maglione volante,
così che schizzarono via all’istante!

Levandosi in volo in un mitico salto
videro il cielo da molto più in alto,
gli apparve la terra, ridente e giocosa,
chi la vide tutta, chi altri, qualcosa.

giovedì 26 aprile 2012

giro tondo


Giro giro tondo,
casca il mondo,
ma io l’ho preso al volo
e non sono più solo.

Giro giro tondo,
si alza il mondo,
ma casca la terra,
sarà per una guerra?

La guerra l’ho disdetta,
andavo un po’ di fretta:
tenevo il mondo in spalla
e tutto il mare a galla!

Giro giro tondo
bacio il mondo,
abbraccio la terra,
è la mia buona stella!


un po' di pace


Pace, carote e patate,
dopo l'inverno arriva l'estate,
dopo l'estate arriva l'inverno
e questa pace dura in eterno.

mercoledì 25 aprile 2012

l'avaro della casa


Era lì al ristorante,
dopo un pasto abbondante,
e il mio amico più caro
chiese all’oste un AMARO.

Non l’avesse mai fatto!
Chi gli cadde nel piatto,
fu ben peggio che amaro:
era proprio un AVARO!

Un avaro della casa,
per primo ti snasa,
poi ti chiede un’oliva
(giuro: non gli serviva).

Quindi tira sul conto,
dice “oh, ma sei tonto?”
Poi si intasca il tuo resto
prima ancora di presto.

Se gli tiri il cappotto
dice “Mo’ me l’hai rotto!”
E ti chiede un rimborso:
8 mele ed un torso.

E quel torso di pomo,
verso il lago di Como,
lo usò come cappello:
"Meno caro, ma bello!"

Così almeno diceva, 
ma per chi lo vedeva,
era un bel poverino 
e gli dava un soldino.

lunedì 23 aprile 2012

in una notte buia e tempestosa


In una notte buia e tempestosa
ho stappato e bevuto una gazzosa.
Mentre la luna mi attendeva cupa,
cantavo un sonetto ad un’Upupa

(che poi, perché non lo cantasse lei,
è una cosa che proprio non saprei).
Ululava anche il vento nella notte,
ma vidi di gelato un autobotte,

e mentre mi guardavano occhi strani,
ne pappai sei palline con le mani.
Il brivido avvolgeva la radura,
ma io ci coltivai della verdura

(buonissima, per inciso,
anche meglio del riso)

un’ombra cupa mi arrivò vicino,
ma era Luca, giocava a nascondino!
La bianca mano alzò, crepuscolare,
“per tutti” disse, e mi toccò contare.

domenica 22 aprile 2012

i sette settimi (milanesi)


Primo Milanese è una città così antica che, quando fu fondata intorno a Milano, Milano non esisteva ancora. Alcuni dicono che sia scomparsa con Atlantide, altri che si sia solo nascosta.
Ma, non trovandola, fu eretta Secondo Milanese, dove non si riposava un secondo. Così la disfecero mattone per mattone e, poco più in là, ci costruirono Terzo Milanese.
Rispetto a Milano, Terzo era giusto un terzo, un imperatore ci arrivò terzo (era una maratona imperiale) e per dispetto eresse da tutt’altra parte Quarto Milanese, dove si giocava sempre a carte. Scopa, di preciso, ma non si trovava mai il quarto. Non sapendo dove cercarlo, lo cercarono a Quinto Milanese, ma a quel punto dovettero fondare anche Quinto. Sfortunatamente, non ci trovarono il quarto, ma il quinto, e per il dispiacere sia Quarto che Quinto Milanese furono de-edificate (di Quarto, poi, ricucirono addirittura il nastro con cui era stata inaugurata).
Nacque così Sesto Milanese, proprio il giorno di San Giovanni. Da lì a “Sesto San Giovanni” il passo fu breve.
E i Milanesi, sconsolati, misero il loro massimo impegno nella costruzione di Settimo Milanese. Si impegnarono così tanto che oggi, a distanza di anni, non si è mossa neanche di un centimetro e persino il nome è sempre lo stesso.

filastrocca di benvenuto


Senza troppe parole,
dentro un raggio di sole,

ma con buona fortuna,
sotto un chiaro di luna,

finalmente è arrivato
un bambino fatato!

Che guardandosi intorno
trovi luce del giorno,

con la gioia del cuore
ne distingua il colore,

porti sempre sul viso
un brillante sorriso,

un sorriso giocondo
che dia gioia nel mondo.



(questa filastrocca è un messaggio vero, rivolto a un bambino che si chiama Gioele. Benvenuto sulla terra a lui, ai suoi compagni di stanza e a tutti i bambini del mondo!)

sabato 21 aprile 2012

Filastrocca del sol giocondo


Filastrocca del sol giocondo,
che bacia tutti i bambini del mondo.

Coi raggi di gioco che ci puoi fare?
Correre, ridere, cantare!

Ne puoi portare quattro alla mamma,
che li condisca con la panna,

un altro al nonno e quattro bacioni
(son buoni per tutte le occasioni).

Al babbo puoi metterne una all'occhiello,
un altro tenerlo nel secchiello.

Ne ha chiesto uno il mio amico Noè
e invece io gliene ho dati 3:

uno per vincere a nascondino,
uno per fare un sorriso al mattino,

e se quall'altro non sa come usarlo,
trovi qualcuno a cui regalarlo!

Il sol giocando gioca coi raggi
e ci disegna buffi paesaggi,

li mette insieme, a ognuno un colore,
e ai nostri occhi, quale splendore!

Non una nuvola basta a oscurarlo
e se anche passa, basta aspettarlo.

Ma se aspettarlo vi pare poco,
proviamo un po' con quest'altro gioco:

chiudete gli occhi e, con il pensiero,
gli andate incontro dritto nel cielo.

Sogno o son destro?


Sogno o son destro?

E Paolo, che era mancino, dedusse per forza di cose di stare sognando.
Nel sogno, tuttavia, si accorse di avere una certa destrezza. In particolare:
nello scartare i cioccolatini, attraversare la strada a dorso di cammello e attraversare le pozzanghere a dorso. Fosse stato per lui le avrebbe attraversate anche a rana, ma il dottore gli aveva prescritto sole sulla punta del naso due volte a sogno, prima e dopo il risveglio.
Per questa ragione, Martino sogna di esercitarsi a diventare ambidestro, così da abbronzarsi un poco anche quando si sveglia. 






(avete visto che Paolo è diventato Martino? Succede, nei sogni! Per esercitarvi, sognate ora di diventare Martino, poi subito un saltamartino e infine, se vi va, un soffice raggio di sole).

venerdì 20 aprile 2012

al caseificio


«Buongiorno signor Carlo, come si conta il suo parmigiano?»
«Sono due chili al chilo, un litro all’etto e mezza carovana di fiori.»
«Benissimo. E quanto viene?»
«Un euro ogni mezzo euro. Ha mai visto un prezzo migliore?»
«No, però un parmigiano mio amico ha la R che salta, dice che si possa fare qualcosa?»
«Ho una forma di formaggio a forma di forma, dicono che sia molto curativa. Viene la METÀ esatta del suo peso al metro.»
Ma mentre quella metà veniva, l’altra metà svicolò da sotto il tavolo e corse via per la strada maestra. Fu una delusione: da quella maestra si imparava poco, così iniziò a prendere i sentieri, le sterrate, i letti dei torrenti e non si sa cosa imparò, ma vide un sacco di cose belle. 

leggete bene e inventate il titolo


Ho un panino che pesa 15 chili.
un altro che pesa 15 kiwi, una banana e una pianta di ananas.
Infine ne ho uno che pensa 15 chili, ma poi ne dice solo 4.

Io, invece:
una piadina che pesa un cavolfiore,
un giardino di fiori di cavolo,
un pacchetto di pacche sulle spalle. Vuoi favorire?

D’accordo.
Ma io ho anche: un accordo che vale 7 note,
una maestra dalla nota facile,
una nota a piè di pagina.

La nota a piè di pagina, tra l'altro, ha inavvertitamente schiacciato il piè: la pagina ha urlato, la nota anche per lo spavento, il piede è diventato rosso e blu. La maestra è corsa a vedere e guardando la pagina rossa e blu, ha pensato di avere già corretto il compito e ha tralasciato 7 errori gravi.
Così sono stato promosso. 

giovedì 19 aprile 2012

il regginaso


il signor Reginaldo, figlio di Aldo e Regina, ha un naso che pesa 1 grammo e 38 chili. Per evitare che gli cada rotolando sul mento, rimbalzando sulla pancia e schiacciandogli l’alluce, usa spesso un regginaso, che si applica comodamente sopra la testa e fissa il naso in maniera inamovibile. Il regginaso è composto di un buffo signore, alto 7 o 8 centimetri, che regge con le mani due canne da pesca. Attaccate alle canne, due lenze; alle lenze, due ami agganciati ognuno a una narice di Reginaldo. L'omino (si chiama Yuri) le sostiene a forza di braccia e, pensate, non si lamenta mai!
Reginaldo difatti è molto soddisfatto, se non che, ultimamente, percepisce un certo appesantimento del mento. La sua idea sarebbe di munirsi di un REGGIMENTO, ma Aldo e Regina mica sono d’accordo.
Per convincerli ha dovuto promettere che il suo reggimento non farà mai la guerra a nessuno, dirà sempre le preghiere prima di andare a dormire e che i suoi componenti passeranno quasi tutto il tempo in congedo, salvo qualche domenica per sfilare nelle strade e suonare la tromba.
Se continuerà a fare il bravo, potrebbe riceverlo in dono a Natale. 

la rosa


Avevo una zucca, mi presi una zuccata,
con una bella tavola, feci una tavolata.
Quindi piantai un cavolo, ma fu una cavolata. 
Vidi passare un falco, con una gran falcata.

La zuppa era di farro, ma un po’ farraginosa,
l’ha assaggiata qualcuno, ci ha trovato qualcosa:
ci ha trovato del vento, chiuso in una ventosa,
e il rosone di un tempio, schiuso come una rosa.

mercoledì 18 aprile 2012

le trombe di Arturo


Questa è la storia delle trombe di Arturo, ed è una storia che dura un giorno solo. Quel giorno, difatti, Eustachio era ammalato: si era preso un raffreddore coi fiocchi per il cambio di stagione e per non lasciare il posto di lavoro sguarnito aveva chiesto a suo cugino Arturo di sostituirlo.
Questi aveva accettato di buon grado, solo che le trombe di Eustachio, che con Eustachio funzionavano benissimo, in mano ad Arturo non suonavano più.
Come sia possibile che le orecchie ci sentano meglio quando Eustachio è al suo posto che strombazza a destra e a manca, confesso che non l’ho mai capito.
Secondo me non l’aveva capito neanche Arturo che, ragionando in maniera più logica, anziché soffiare nelle trombe, aspirava con tutte le forze.
Forse per questo non suonavano, o perché avevano nostalgia del loro legittimo proprietario, o forse per semplice puntiglio. Fatto sta che la mattina seguente Giannino, che possedeva le orecchie in questione ed era uso ascoltare le trombe con grande attenzione, tirò un bel respiro di sollievo. 

martedì 17 aprile 2012

poi o prima


C’è un bel signore: Pierprimo Passalacqua,
che prima beve e dopo versa l’acqua.

L'avrà imparato dalla prozia Carlona,
che prima lava e dopo si insapona?

Un altro abita in zona Caracalla
e prima segna e poi tira la palla.

La stessa palla, un cugino che sta al mare,
la usa per giorni e poi la va a comprare.

Non solo: quello che qui vi è appena detto,
Pierino l’ha già imparato, ma mai letto.

lunedì 16 aprile 2012

la macchina che va a sorrisi


La macchina di Giovanni va a sorrisi.
Col sole impenna, col brutto tempo rallenta, ma se rallentando fa salire qualcuno che era in ritardo, subito riparte di gran carriera.
Come ruota di scorta, ha un volume di barzellette. Come crick, la polvere magica di Campanellino, che solleva in volo chiunque ha pensieri felici. 
Come se servisse la polvere di stelle per prendere il volo in seguito a un sorriso... Ma su su avanti, c’è l’arcobaleno e Giovanni già quasi non lo vedi più. Ora, ad esempio, è sopra una nuvola: la sua macchina non ha le ruote, ma un radar che cerca nell’arco di 10 milioni di miglia il modo di far sorridere il pilota, i passeggeri, gli autostoppisti, quelli con cui si parla al telefono, i passanti che si salutano e quelli che stanno a casa a dormire e che quindi non passano, ma si sa mai che passino, all’1 o alle 2.
La macchina di Giovanni qualche volta si ferma, come se finisse improvvisamente le batterie, ma mai c’è stata a memoria d'uomo una volta in cui non sia ripartita. 

tanto per intenderci


“Chi ha tende per intendere in tenda, gli altri nelle orecchie”.
Ma ecco che tra le orecchie ci fu una vera insurrezione. Erano così scontente della frase che, tre righe fa, non so chi aveva pronunciato, che iniziarono a tirarsi l’una con l’altra e a fare i capricci come i bambini piccoli.
"Andrebbe meglio se andassero nei nasi?", le interrogò il vocione fuori campo che aveva parlato anche all'inizio.
“Nei nasi, certamente!”, fecero quelle.
Ma pensate forse voi che una simile soluzione potesse andar bene? 
Difatti, tutti i nasi del circondario iniziarono a protestare con argomentazioni precise: ciò che entra da un orecchio esce spesso dall’altro, ma quel che entra nel naso, ci resta! E le teste dei rispettivi nasi non si sarebbero mai potute permettere di sopportare il peso di tanti sconosciuti.
La voce provò allora a chiedere alle labbra, ma queste gli apparvero subito tutte imbronciate.
Agli occhi, ma quelli potete figurarveli,  piangono già come matti per un solo bruscolino!
Fortunatamente, tutti (chissà poi chi erano) avevano delle tende, e per quella volta il pericolo fu scongiurato. 

il gatto delle Sabrine

AVVISO: attenti che questa si legge dopo quella prima e quella prima si legge prima di quella dopo, cioè questa.



Un giorno, nel paese delle Sabrine arrivò un gatto tutto intero, con i baffi, il pelo, quattro zampe e anche lui due occhi, che però erano occhi da gatto.
All’inizio si preoccuparono, poi continuarono a preoccuparsi. La ratta Sabrina, forse per la paura, si era defilata. Per trovarla, ci fu bisogno di chiamarla ad alta voce.
Ma prima fecero un bel discorso al gatto delle Sabrine, che li guardava con gli occhi da gatto gialli e blu: 
“In questo paese c’è posto solo per l’amicizia e, a chi non dovesse andare bene, spettano i lavori forzati!”
I lavori forzati, consistono nell’andare in giro con Sabrina tutto il giorno a salutare una per volta tutte, ma proprio tutte, le Sabrine del paese, rimanendoci insieme anche per giorni, mesi o anni, finché qualunque attrito non sia del tutto superato. In genere non ci vuole tanto, perché le Sabrine del paese delle Sabrine sono tutte affabili, simpatiche e devo dire anche belline.
In effetti era bellino anche il ratto delle Sabrine (che in realtà era una ratta), che saltò fuori da un cespuglio completamente rincuorata. Il gatto delle Sabrine, che in realtà era una gatta, abbracciò subito la ratta, mettendo fine a un’inimicizia decennale che forse si era inventato qualcuno che decisamente si sbagliava.
Questo abbraccio fu festeggiato per 55 settimane e alla gatta, per festeggiare ulteriormente, fu assegnato ad honorem il nome di Sabrina. 

il ratto delle Sabrine


Nel paese delle Sabrine, Sabrina filava la lana. Contemporaneamente, Sabrina giocava a palla contro il muro e Sabrina preparava la cena. Sabrina, invece,  salutava tutte le altre dal balcone, mentre prendeva il sole. Sabrina rispondeva subito al saluto, giocando coi riflessi del sole grazie al suo specchietto comprato in quella merceria che avevano aperto da poco, come si chiamava? Ah sì: Sabrina & Sabrina.
Un giorno, nel paese arrivò un ratto. Quelli troppo ferrati in storia, che magari pensavano a un rapimento, dovrebbero subito cambiare storia: questo ratto qui aveva gli occhi da ratto, le orecchie da ratto e persino l’intonazione di voce era quella tipica di un ratto.
Alle Sabrine all’inizio fece un po’ paura: quell’intonazione non l’avevano mai sentita, delle orecchie così, mai viste una volta e persino quegli occhi da ratto, erano qualcosa di decisamente nuovo.
Col tempo, però, fecero amicizia, il ratto imparò a lavarsi sotto il rubinetto e a non spaventare le sabrine sgattaiolando (meglio: srattaiolando) di colpo fuori dai buchi dei muri.
Si scoprì anzi, notizia sensazionale, che non si trattava di un ratto, ma di una ratta femmina! Per festeggiare, decisero di darle subito un nome. Ci pensarono 3 giorni, 2 notti, 8 tramonti, 2 lunghi meriggi e alla fine la chiamarono Sabrina. 

il maniglione antipatico


C’era una volta un maniglione ANTIPATICO. Poverino, lui voleva essere antipanico come tutti gli altri, invece era antipatico a tutti.
Una sera disse una preghiera: non voglio più essere antipatico!
Detto fatto! La mattina dopo era proprio simpatico: le maniglie lo salutavano sollevando il cappello e le chiavi giravano nelle toppe in segno di profonda stima, prima a destra e poi a sinistra (perché nessuno rimanesse chiuso fuori).
Ma purtroppo, non era ancora un maniglione antipanico. Non avendo specificato alcuna richiesta, era diventato un maniglione ANTIPRATICO:
per aprirlo bisognava bussare, fare una giravolta, dire al contrario le lettere dell’alfabeto, piangere, ridere (in entrambi i casi, di gioia), aspettare un passante, fargli una carezza e invitarlo a passare. A quel punto il maniglione scattava automaticamente e la porta si apriva con un sorrisone. L’operazione metteva parecchio buonumore a chi passasse, ma in effetti avrebbe potuto creare qualche complicazione in caso di incendio.
Il maniglione iniziò a pensarci sempre più spesso. Un giorno poi, il fuoco divampò davvero e la gente arrivò correndo davanti a lui, bussava con le lacrime agli occhi per la paura ed il fumo.
Ma il nostro eroe, così colto alla sprovvista, non aveva idea di come fare ad aprirsi! Trattenne il respiro, ma niente, provò a saltare, ma non si mosse di un millimetro. Si concentrò, urlò aprì gli occhi, li chiuse. Niente. Infine scese una lacrima anche a lui.
Non era una lacrima qualunque: era una lacrima di OLIO zecchino, che nasceva dal desiderio sincero di salvare quei poverini. Mica per essere simpatico, o pratico e in fondo neanche antipanico, ma perché gli voleva bene, e teneva tanto alle loro vite. 
Già una goccia di quell'olio, per chi non lo sapesse, sarebbe bastata a far scattare all'unisono tutte le serrature del palazzo. Ma quella lacrima, ragazzi, fece aprire la porta, accompagnò in salvo i presenti, richiuse la porta arginando il fuoco e infine spense l’incendio dalla prima all'ultima fiammella. 

domenica 15 aprile 2012

il pilota automagico


Mentre guido un po’ stanchino,
per le strade di Pechino,
mi verrebbe assai pratico
un pilota automatico.

Ma automatico manca,
guida troppo e si stanca.
Se non è troppo tragico,
ne ho qui uno AUTOMAGICO.

Inserisco il contante,
premo a fondo il pulsante,
che comincia a pulsare
verso un viaggio stellare.

Così mentre è buio pesto,
e il cuscino mi riassesto,
son finito su Plutone,
dentro un campo di pallone.

Son finito poi su Marte
recitando la mia parte
di terrestre un po' bizzarro
sotto il fitto del tabarro.

Il tabarro è sì piaciuto,
ma per via di uno starnuto,
storce il naso anche il marziano,
ma ormai sono già su Urano.

Certo il tempo qui è migliore,
ci son mille ed un colore,
cento stelle che si chiamano,
vedi bene che si amano.

Tendo la mano per salutare,
ma è già cambiato sistema solare!
In un pianeta con sette soli,
quattordicimila girasoli

salutano l’alba, poi l’alba, poi l’alba,
e neanche una che sembri scialba.
Certo i colori sono un po’ strani,
son gialli i fiumi e verdine le mani.

Sciacquo le mani con grande attenzione,
e son sulla Terra, alla stazione.
Mi aspetta il treno: Pechino-Vercelli,
mi si apriranno tutti i cancelli!

Faccio per scendere e sono esitante,
mi fermo a guardare il bel pulsante,
e sì che a schiacciarlo non serve moneta,
ma chiudere gli occhi e cambiare pianeta. 

sabato 14 aprile 2012

la strada vecchia


Chi lascia la vecchia strada per la nuova, 
sa quello che lascia ma non sa quello che trova!

Borbottò un borbottone nato e cresciuto a Borbottiamo Milanese.

A voi sta bene? 
Ecco appunto, proviamo così: 

Chi lascia la vecchia strada per la nuova, 
potrebbe inciampare in un cesto di uova

«Non mi pare che miglioriamo!»
Dammi tempo!

Le uova, perdinci, erano tutte d’oro,
spesso si inciampa in un grande tesoro!

Benissimo! 
Il brontolone lo abbiamo sistemato, ma abbiamo qui il signor Tommaso Dinci che reclama le sue uova. (e allora io cosa ci sono inciampato a fare? E sì che ne avevo già data una in acconto per comprarmi il motorino). 
Va bene va bene, rifacciamo. Signor Dinci si sieda lì e stia buono. Anzi, ascolti: 

Chi lascia la vecchia nuova per la strada, 
lascia il tempo che trova ma non trova quel che sa.

Ma la signora Rosalina, nonna di Giuseppe e Gualtiero, che nessuno ha mai visto ne conosciuto prima e che pertanto è una Vecchia Nuova a tutti gli effetti, obietta sul fatto che non la si può lasciare in strada: soffre di reumatismi, inoltre deve filare a casa a preparare la merenda.

Figuriamoci! Che ne dici di questa?

Chi lascia la strada nuova per la vecchia,
può perdere saltando questa orecchia,
sia mai che ne ritrovi un’altra uguale,
e gliela porga quel furbo di Pasquale.

Niente da fare neanche questa volta: Pasquale, per quanto furbo, è Pasquale solo a Pasqua. A Natale è Natale e per il resto dell’anno cambia tanti nomi quante stelle nel cielo. 

Inizia a finire lo spazio. Quante pagine ci avevano dato? Due? Un signore un po’ sbrigativo, che avevo incontrato un giorno non so dove, potrebbe anche dire che:

Chi lascia la vecchia strada per la nuova,
forse sarebbe meglio che si muova!
La vecchia è solcata da somari,
che muovon mille passi sempre uguali!

Un tantino brusco, in effetti. 
Alla fin fine, un mio amico veramente paziente, mi ha fatto scrivere così:

Alla strada vecchia, per dove mi ha portato,
non posso che rimanere grato,
ma chi ne prende una nuova o anche un sentiero,
riscopre da capo il mondo intero. 

giovedì 12 aprile 2012

il mar Antonio


“Se una biglia più mezza biglia fa una triglia, quante mezze biglie ci vogliono per popolare il mar Morto?”
Antonino si pone la domanda con sincera compassione.
Sulla disgrazia del povero mar Morto, c’è chi dice che sia trattato di cause naturali, altri sono invece certi che non sia stata altro che una pungente nostalgia: senza un pesce neanche a pescarlo, il povero mare si trovò mano a mano sempre meno ridente, e a poco valsero il tam tam dell’Oceano Indiano o i discorsi di fratellanza del suo compagno Pacifico. Il suo spirito di acqua cristallina aveva così finito per allontanarsi per cercare compagnia, lasciando a quelle acque l’appellativo di mar Morto.
Il piccolo Antonio, tuttavia, ha quasi finito di segare le sue biglie di legno, siede sulla riva e pregusta il momento in cui lancerà in acqua il sacchetto intero per chetare la solitudine di tutto il mare.

Per sapere com’è finita la storia, provate un po’ a mettervi nei panni del mar Morto: non sareste forse tornati di corsa, portando con voi un bel nome nuovo?
Ad esempio: Mar Giulivo, Mar Grato, Mar Tedì, Mar Imango (per questa volta), o anche mar Triglio.
L’interessato, invece, decise di chiamarsi mar Antonio.

mercoledì 11 aprile 2012

di parole in mondi


Conoscevo un bambino che gridava sempre “ioooooooo” e un giorno, una simpaticissima tempesta di vento gli separò tutte le O l’una dall’altra (così: o o o o o o o o o o  o  o  o  o  o)
In quel momento si accorse che tutte le O del suo "io" non erano che meravigliose bolle di sapone:
alcune riflettevano il cielo, altre il prato sotto i piedi di Luca, altre gli occhi dolci dei bambini che le guardano. Ma erano tutte bolle di sapone, e lo salutavano partendo alla volta del mare. 
Ormai che le bolle erano volate via, il bimbo si fermò a guardare la i, interrogandosi sugli inspiegabili equilibri che mantenevano il puntino sospeso nel nulla.
Forse con l’idea di riacciuffare qualcuna delle sue O prima che scoppiasse in una risata di bollicine, si lanciò subito in aria volando anche lui verso il mare, poi verso il cielo, poi verso il mare e il cielo insieme.
Incontrò una L, e si accorse che da qualunque parte la girasse, c’era sempre un comodo schienale a cui appoggiarsi. Ci si appoggiò, ma per poco (stava proprio inseguendo le O, che ora filavano come missili). Si pettinò con una F perché il vento gli aveva scompigliato i capelli, poi si scompigliò i capelli perché, senza che se ne accorgesse, la F glieli aveva tutti pettinati.
Incontrò anche un'altra O, così maiuscola che sembrava grande come tutto il mondo; poi una M, e, ora che la guardava bene, capì subito che le montagne non iniziano per M, ma sono delle M tutte intere. La M poi è la montagna perfetta, perché sono due montagne diverse che si guardano in faccia.

Vi è mai capitato di trovarvi in cima ad un monte, un vostro amico sul monte vicino e farvi i segnali con lo specchio? Se vi è piaciuto, pensate che le montagne della M lo possono fare sempre e senza bisogno di specchi, con tutti i sassi che hanno e tutto il sole che ci batte addosso. 

In ogni caso, il nostro eroe ha appena scoperto, da quanto è arrivato in alto, l’umanità intera in uno sguardo solo:
a vederla da qui non si distinguono i bronci, gli sgambetti e le note sul registro e vien
pr o o o o o (altre bolle di sapone) o o o prio voglia di abbracciare tutti, come se fosse lui stesso un raggio di sole.
Certo, qualcuno obietterà con i soliti MA:

MA dove sono finite le tue O? Se perdi tempo non le avrai più indietro.

MA perché ora che sei così in alto non passi il tempo a far le capriole e gli altri li lasci perdere?

MA ti ricordi o no di quando Luisotto ti ha rubato la merenda e ti ha anche accusato di essertela rubata da solo?

Ma il segreto che il bambino magico, quello che ha perso tutte le O in uno sciame di bolle di sapone, vede bene da qui sopra è che la nostra piccola
UMANITA’,
tolti tutti questi
MA
(che, non a caso, pesano come montagne)
altro non è che una sola, magnifica
UNITA’.

Immaginatevi una bolla di sapone, una sola ma che è tutto il mondo, e il sole ci passa attraverso brillando con tutti i colori dell’arcobaleno.

amici per l'Apelle


Apollo, padre di Apelle,
si divertiva a guardare le stelle.
E tutte le stelle stavano in aria
a guadare la faccia di Apollo,
padre di Apelle, con le stampelle.

Difatti, guardando le stelle al posto della strada, era caduto e si era storto una caviglia. 

Apelle, figlio di Apollo,
stava a Rapallo a parlare col gallo,
che era un po’ rosso,
ma anche un po’ giallo.

Non era verde, perché non conosceva l’invidia. Però conosceva Rosa e Giordano, e insieme a loro amava stare sul prato. Però non era verde lo stesso.

Apelle, simpatico a pelle,
e Apollo, vestito da pollo,
andarono in palla cercando una falla
nella nave-stalla dalle vele a farfalla
dove il saggio Noè, sorseggiava il suo tè.

Dico io, è mai possibile sorseggiare un tè mentre una nave con tutti gli animali del mondo rischia di andare a fondo?
Ma la falla mica c'era, erano gli altri che la cercavano per scherzo!
E difatti:

rideva Apollo piegando il collo,
rideva Apelle, ma a crepapelle
sghignazza Noè che sembrano tre
e ride anche il gallo, però a pappagallo.

Un mio amico, reduce da un lungo viaggio in un paese esotico, sostiene di aver visto un pappagallo che rideva a gallo e che non sia stato un bello spettacolo. Fortuna che a nessuno dei quattro è venuto in mente durante la filastrocca, e così hanno continuato a ridere a lungo anche dopo la fine.



martedì 10 aprile 2012

l'armamentario


Ho uno spezzato a righe, ma mi si sono spezzate le righe.
Mi chino a raccogliere i cocci, vedo un maresciallo in seconda (doveva essere in terza, ma l’hanno bocciato). Grida: “rompete le righe!”
“Sono già rotte!”
Gli risponde l’esercito intero guardando con simpatia i miei pantaloni.
“Allora scioglietele!” fa quello, ma gli altri restano compatti.
Le righe che dice lui, le hanno già sciolte da tempo, insieme ai cannoni, alle pistole e ai fucili.
Era rimasta giusto qualche lancia, ma l’hanno spezzata a favore a volte di Marco, altre di Luca, operai della fonderia dove è finito tutto l'armamentario. E dato che l’ARMAMENTARIO, forse per via del buonumore generale, sapeva ben più di MENTA che di ARMA, ci fecero una serie interminabile di confetti: alla menta, ovviamente, ma anche all'arcobaleno, alle risate, al vento le volte che soffia divertito e quelle in cui resta impigliato nei capelli. Nei capelli di tutti, persino quelli un po’ imbronciati dei marescialli a cui nessuno ha obbedito.

mercoledì 4 aprile 2012

una storia per sommi capi


PRIMO CAPOVERSO
Una volta, il capo di Luigi, pensò di scrivere un magnifico verso su un foglio. A lui pareva quasi uguale a uno di Montale, ma a Luigi sembrava piuttosto il verso del maiale (oink) o di un gatto col mal di stomaco (miahi!).

IL GRATTACAPO
Non era la prima volta che succedeva, e Luigi non ce la faceva più a sopportare tanti versi in ufficio: a lui serviva concentrazione per finire le pratiche entro sera. Ecco un bel grattacapo, direte voi. Ma grattare il capo, non aiutò per niente.
Al capo, che non aveva alcun prurito, una grattata così, su due piedi, parve piuttosto scortese.  
Si diede quindi a scrivere i primi versi di un’altra importante poesia in sette strofe. Tema: la scortesia.

IL ROMPICAPO
Luigi, che dovette leggerla tutta, non fece in tempo a sbrigare le pratiche prima di sera. Al capo non interessava molto, intento com’era a declamare la sua splendida (diceva lui) poesia per telefono ad un importante fornitore, ma a Luigi dispiacque proprio. Iniziò così a inventare un terribile rompicapo, ma il capo, anziché rompersi, lo risolse subito e per festeggiare, compose una poesia in otto ottave sulla propria intelligenza.

Il CAPOSTIPITE
Al colmo dell’esasperazione, Luigi dichiarò che avrebbe preferito essere dipendente del quadro sul muro, o della maniglia della porta, o persino degli stipiti. Ma lo stipite, gentilmente, declinò l’invito e lo mise alla porta.
Dietro la porta c’era il capo, che aveva scritto un attimo prima un poema in due atti: uno era scrivere, l’altro cantare. Inutile dire che, alle povere orecchie di Luigi, parve un canto terribilmente stonato.  

PUNTO A CAPO
Mentre il capo cantava, infatti, si punse con il fermacarte, con cui stava fermando alcune carte. Cercando di far sentire il capo almeno un po’ in colpa, gli mostrò il punto in cui si era punto, ma il capo, neanche se ne accorse.
Scrisse invece un lamento in trentatrè trentine, e tutte e trentatrè si lamentavano tremendamente.

CAPOLINEA
Così Luigi, poco prima di iniziare a piangere, tirò una linea per separarlo per sempre dal capo. Si accorse però che, mentre il suo poetante superiore rimaneva lì accanto, la linea gli aveva appena separato la testa dalle spalle. Inutile dire che la cancellò in men che non si dica. E che bello spavento!

A quanti di voi è capitato di tirare una linea per separarsi da un insopportabile poeta silvestre e ritrovarsi a dover cercare sul soffitto la propria mano, o il naso, un ginocchio destro e magari persino un pezzetto del proprio magnifico cuore?

Su questa riflessione, il capo ci scrisse un poemetto in due etti. Fu una bella lavorata, ma quello – persino Luigi dovette ammetterlo – fu veramente un CAPOLAVORO.




lunedì 2 aprile 2012

il pollantropo


C’era un pollo molto onesto,
molto franco, molto lesto,
si chiamava Francopollo,
non più sazio che satollo.

L’altro giorno, nel pollaio
Sopra ad una sedia straio,
una luna rosso cupo
lo mutò in un pollo-lupo:

un pollantropo da strada
che girò per la contrada,
spaventando volpi e cani
sia vicini che lontani. 

Ma Pierpollo, nel taschino,
ha un antidoto barbino:
chi lo prende, ve lo svelo,
perde il vizio e non il pelo.

Ora gira, per fortuna,
anche quando c’è la luna
un polletto un po’ peloso,
ma per nulla pernicioso.


domenica 1 aprile 2012

la dichiarazione di pace


Un giorno, un tremendo monarca che aveva passato tutta la vita a combattere contro gli stati vicini, seminando terrore e panico a destra e anche a sinistra, si commosse improvvisamente guardando un fiore. Era da poco iniziata la primavera dopo un inverno durato 17 mesi e il fiore che stava fissando era una splendida camelia.
Così decise di colpo che la guerra lo aveva stancato, e che ben migliore occupazione sarebbe stata, da lì in avanti, scoprire i segreti dei fiori del giardino reale.
Indisse due editti di seguito:
Il primo spiegava che la primavera, da allora in poi, sarebbe durata quantomeno un anno e mezzo, e che tutte le forme di allergie marzoline erano sospese fino a data da destinarsi.
Il secondo aggiungeva che, per importanti ragioni di stato, tutte le guerre in corso e anche quelle in programma, erano annullate senza appello.
A ben poco valsero le proteste del ministro della guerra e dell'ipergeneral Sparachiodi, che furono rinchiusi nel giardino in attesa di rinsavire.
La sera stessa 18 ambasciatori si diressero verso i confini dei 18 stati con cui il paese era attualmente in guerra, e consegnarono a ognuno dei 18 monarchi sbigottiti una DICHIARAZIONE DI PACE, che declamava pressappoco così:

“Ai signori Monarchi vicini e lontani:
da questa primavera, la pace incondizionata viene istituita. I nostri stati vengono così dichiarati grandi ed ottimi amici, di un’amicizia schietta, del tutto priva di invidie, sotterfugi e antipatiche congiure, da ora fino alla fine del tempo.
Con l’occasione vogliate gradire il mazzo di fiori sotto il braccio dell’ambasciatore, nel quale potrete rinvenire le ragioni profonde di questa dichiarazione di pace”.

I 18 monarchi non sapevano come prenderla: per quanto ne sapevano loro, la pace non si poteva dichiarare, ma al massimo la si trattava in lunghe riunioni in cui i re litigavano per giorni perché uno voleva per sé il lago con anche le anatre, un altro la montagna con tutte le nuvole e un terzo le nuvole, il sole, il lago e la montagna.
La dichiarazione, tuttavia, presentava la pace come un dato di fatto e alla fin fine i 18 monarchi non ci videro  niente di male.
A corte intanto tutti sorridevano di sottecchi, iniziando a intuire qualcosa, e la bella stagione avvolgeva da tutte le parti i loro grandi e piccoli regni. Non erano 18 primavere, ma una primavera sola che bastava per tutti.
E annusando i loro fiori, i re si resero conto all'improvviso che, per la pace, è esattamente la stessa cosa!
Così iniziarono a dichiararsi pace l’un l’altro, facendo la gara a chi faceva prima. In poco tempo le strade dei regni furono assediate di ambasciatori carichi di vasi di fiori con l’incarico di dichiarare pace a tutti gli stati che trovassero lungo i confini.
Le frontiere, tra l’altro, mica toccavano solo quei 18 regni! Le dichiarazioni di pace arrivavano così ad altri stati che non ne sapevano proprio niente, ma che si convinsero tutti, uno dopo l’altro.
È vero che quella primavera durò moltissimo per via di un inderogabile editto reale, ma vi garantisco che, prima che l’autunno sfiorasse il primo petalo, tutte le guerre del mondo erano state dimenticate.
Allora quando arrivarono l’autunno e persino l’inverno a nascondere l’erba, non fu niente di grave: i fiori di quella primavera erano nel cuore degli uomini.