mercoledì 27 giugno 2012

come cambia la storia


Un giorno, nel libro di storia di Gino successe un tremendo pasticcio.
Ci cadde sopra lo yogurt, il gelato e un latte e menta con tutta una cannuccia. Forse fu proprio per questo, che i Nibelunghi si trovarono d’improvviso quasi dimezzati e divennero Nibecorti.
Dei Visigoti, giacché lo yogurt aveva coperto gran parte dei viso, non rimase che una squadriglia di Nasigoti.
I Longobardi pure dovettero cambiare nome perché i bardi si erano del tutto scoloriti, fortuna che si trovarono un paio di pifferai a pagina 7 e con il tamburo della corte di Carlo Martello misero su una piccola Longobanda.
Più in generale, a causa di due pagine che si incollarono, i barbari del secondo capitolo divennero i barbarletta, che, forse per via della barba, faticarono parecchio a dimostrare di non costituire una barzelletta.
Solo una pagina fu intaccata nella storia moderna, ma sufficiente a far diventare gli Americani dei morbidi Amerigatti (che, se non altro, hanno ben gradito il latte e menta). Questo tra l’altro rese i cretesi, a cui i cani forse non piacevano, molto più crilassati.
Non entrerò ora nel merito del rapporto tra Creta e i cani, o tra i gatti e le Canarie; questa storia, infatti, serve soltanto per dimostrare alla maestra di Gino e a tutta la classe che in questo momento lo fissa col naso all’insù, che per cambiare la storia, anche quella che pareva già scritta, si può partire anche solo da una dieta equilibrata. 

cacciatore e raccoglimore


Una volta, l’uomo era cacciatore.
I cacciatori cacciavano i tori e, poiché li cacciavano via in malo modo, i tori, che erano molto permalosi, si nascondevano nel sottosuolo.
Per incontrarne uno, non dico tanto ma almeno per farci due chiacchiere, bisognava raccoglierlo da terra tirandoli per il singolare ciuffetto che spesso spuntava dal prato (si distingueva dall’erba perché era fatto di corna).
Così gli uomini divennero raccoglitori.
Una volta diventati raccoglitori, arrivò non so quale impiegato a metterli in bell’ordine sulle mensole, chi con dentro le fatture, chi gli scontrini del gelataio.
Nel corso dell’evoluzione, gli uomini capirono che a stare troppo tempo in ufficio si perdono le ore migliori del giorno e non vollero più essere neanche raccoglitori. Fecero così definitivamente pace coi tori, divenendo accoglitori (non solo accoglienti, ma proprio accoglitori professionisti).
Qualcosa però bisognava pur raccogliere, e ci furono discrete evoluzioni anche in questo senso: gli innamorati diventarono raccoglifiori, ma quelli non si potevano mangiare, specie dopo essere stati donati come pegno d’amore (si dice anzi che, per meglio conservarli, la donne li seccassero con interminabili discorsi sulle mode preistoriche).
L’uomo primitivo, che oramai avrà anche fatto in tempo a diventare seconditivo, si improvvisò così raccoglimore e, poiché di more in quel periodo ce n’erano parecchie (alcune proprio carine), se ne fecero una bella scorpacciata. 

martedì 26 giugno 2012

la piripera


Nel paese degli uomini di pera,
a nessuno serviva una dentiera.
Per suonare si usava una tastiera
Che suonava una bella piripera,

sarebbe poi quella nenia leggera,
che ballano gli uomini di pera
quando la notte arriva sorridendo
e alcuni canticchiano dormendo. 

sabato 23 giugno 2012

il comandante


Ho messo un abito un po’ andante ma mi sono ritrovato in coma.
Sono così divenuto comandante.
Come andante mi trovavo anche bene, ma quanto al coma, non so come, non mi andava. Certo, magari un pochino mi mandava, e così ho conosciuto il mandante. Dall’incontro tra il mandante e il verso della gallina (per i distratti, non è cambiato, ma è sempre coccodè), è frequente ottenere:
un CO-mandante
un CCO-mandante (immagino un comandante del corpo dei carabinieri)
un DEmandante.
La faccenda tende così a complicarsi perché, se abbiamo un altro comandante, mentre il comandante ero io, finché non esco dal coma siamo per forza in due, e quindi due cocomandanti.
Se però si considera che il comandante mio antagonista (protagonista, in caso di aerofagia) lavora già a braccio con il ccomandante e tra di loro fanno un coccomandante, la cosa si complica moltissimo. Da un lato, bisognerebbe capire questo cocco dove lo mandino, e noi ci auguriamo tutti che sia nelle migliori scuole a ricevere un’educazione consona al rango dei due ufficiali, di cui si può ben dire che sia il cocchino, che con le ruotine, i cavallini e il cocchierino si vede spesso girare a Lilliput, dove peraltro dovrebbe arrivare il Vagabondoput e coronare un sogno di amore. Chiaramente un amore putativo, ma chi siamo noi per dare giudizi avventati? Meglio togliere un po’ di vento, difatti, da questi giudizi, e che se ne stiano un po’ con i piedi per terra (anche se, dall’altro lato, vedere volare un po’ di giudizi via per sempre sarebbe una non magra soddisfazione, giovando a una fazione intera, quella degli essere umani).
Dall’altro lato, si diceva, il secondo comandante sarebbe coccomandante con il suo amico ma anche cocomandante con me, così che sarebbe complesso definire se tutti in quattro si formerebbe un co-coccomandante o piuttosto si sformerebbe un coco-cocco-mandante, che sarebbe evidentemente un comandante con la balbuzie.
Per combattere definitivamente la balbuzie e portarmela via lontano, magari facendo vela proprio sul vento che potrebbe sventare i giudizi avventati prima che qualcuno li avventi con un sorriso a trentadue venti, mi sono deciso così a svegliarmi dal coma e, sempre rimanendo comandante, al cui grado mi ero affezionato, semplicemente me ne sono andato a Como, lasciando gli altri due (anzi tre, perché c’era anche il demandante, che quindi potrebbe essere il tremandante, ma non si sa perché tremi, dato che nell’andare nulla dovrebbe fare più paura che nel restare), dicevo sono andato a Como lasciando gli altri due su un comignolo, sperando che facciano la dovuta attenzione a non schiacciarselo sbattendo la coporta. Infatti potete  immaginare da voi che, se qualcuno la comanda, qualcun altro per forza di cose  la coporta. 

venerdì 22 giugno 2012

un po' di respiro

Se Daria si fa un giro,
si crea un bel giro Daria,
ho assaggiato un bel fiore,
l’Amanita Muscaria. 

L’ho finita da poco,
ho leccato anche il dito,
ma è finita che bene
non mi sono sentito.

Non sentendomi bene,
la finestra ho socchiuso,
ho chiamato qui Ilaria,
ed ho fatto un po’ il muso.

Non è stato un bel gesto,
l’ho un pochino influenzata,
ma è così che ho ottenuto
Ilaria condizionata. 


giovedì 21 giugno 2012

c'è poco e poco


Una volta Simonetto decise che voleva cambiare il mondo.
"Per cambiare il mondo", pensava, "non ci vorrà tantissimo. Mi basterà sorridere tanto che la gente guardandomi pensi che è già cambiato, e magari si giri a cercare il motivo per cui sorrido. “Cercandolo”, pensava, “non potrà che trovarlo”.  
Passava un tizio a cui i sorrisi davano il prurito (ce ne sono e, anche se loro non lo sanno, il rimedio è sorridergli finché non gli passa). 
Gli disse:
“Tanto non ci riesci!”
“Non voglio riuscirci tanto, ma poco”, fu la risposta. 
Quel poco però non era un poco qualsiasi, ma un “poco per volta”; ed è proprio con quelli che il mondo si cambia davvero.

pensando (pensare quando?)


Ho tra per la testa mille pensieri
ma sono tutti pensieri di ieri,
a ben guardare molti son strani
ma sono pensieri di domani.

Penso pensieri che neanche si sanno,
che avranno luogo magari tra un anno.
Ma se ne hai uno, il migliore, e lo sfoggi,
quello è soltanto un pensiero di oggi. 

a correre senza guardare


Molta gente, cosa frequente, se dice non mente, se parla non sente. Se sente borbotta, che barba Carlotta, ma allora barbotta, col botto che botta. Se batti, rimbrotti, se abbatti ti sbatti, se sfratti non sei carino con lei, lei che ci teneva, dai povera Eva, che paga l’affitto su un conto in Egitto, peccato non tuo, ma suona in un duo, e a te che serviva, la guardi è giuliva, che è Giulia che saliva, o Giulia in un oliva, o Olivia che partiva. Allora pronti via, veloce chi tu sia, verdastro il cioccolato su cui il prato è passato, è verde guarigione, verdone parigino, se poi Gino non pari, magari un formaggino, che è Gino per la forma, ma solo dal di fuori, se invece lascia un orma, ci pianterò dei fiori, poi tu li passi a Gino, ed ecco un passeggino, se Gino è un po’ più saggio, ci scapperà un passaggio, se Gino è più malato, mi mangerò un passato, peccato che il presente è assai più divertente.


mercoledì 20 giugno 2012

i grilli per la testa


Un giorno, un signore che aveva molti grilli per la testa, decise che era stufo e si recò in un negozio di grilli per vedere se riusciva a farseli cambiare con dei grilli per i gomiti, o magari anche per i piedi (l’idea dei grilli da piede lo solleticava parecchio, ma se anche pare ecchio, non si sai chi poi sia veramente).
Il negoziante fu molto gentile e, poiché il signore si era presentato con un amico, diede loro un grillo a testa, ma da piede.
Per essere sicuri che i grilli nuovi non gli mettessero i piedi in testa, li testarono in uno speciale testa a testa, dove il primo grillo che dai piedi passasse in testa, perdeva. Come potesse perdere chi passasse in testa, fu duro spiegarlo ai due grilli, che erano molto competitivi. Alla fine persero entrambi la testa, e per ritrovarla partirono a piedi fino ai piedi di un monte. Ma poiché non sopportavano perdere, persero anche le staffe e quelle non le trovarono ai piedi di nessun picco, ma a picco in fondo ad un mare pieno di pesci martello, spauracchio dei grilli parlanti, loro lontani cugini. Per avvertire questi ultimi del grande pericolo, fu inviato come messo proprio il signore dell’inizio, che partì senza fiatare saltellando come un grillo. Se un grillo per la testa, per i piedi o per le sopracciglia, proprio non saprei dire. 

la chioma di berenice



Mentre pensavo al colore rosso,
sono caduto dentro ad un fosso
e per provare a tirarmi fuori
mi sono aggrappato alle foglie dei fiori.

Ma questi fiori mi hanno portato
a capofitto nel cielo stellato.
Certo col sole del primo mattino
ora avrei preso un bel colorino, 

invece è stato la notte di ieri;
se avessi avuto diversi pensieri,
avrei agguantato qualche radice
o anche la chioma di Berenice.

Ma Berenice cippirimerla,
prende la mira, tira una sberla, 
Quindi ti dice “mica son sorda,
ti serve aiuto? Chiedi una corda!”

Questo mi non è successo davvero,
perché a quell'ora volavo nel cielo,
invece è accaduto, per paradosso
al mio compagno vicino di fosso!



lunedì 18 giugno 2012

il mal di plancia


IL MAL DI PLANCIA

C’era una volta una barca con il mal di plancia. Poiché se ne lamentava parecchio, scricchiolando a poppa e a prua, l’equipaggio impietosito andò a cercare un dottore. Del dottore, però, non c’era neanche l’ombra. Una delusione, perché almeno nell’ombra ci speravano. Ma niente.
Così pensarono di contattare almeno un dotto re. Questo era un po’ più semplice, perché lì vicino c’era una sala da re, dove di re se ne trovavano a iosa. Giangerolamo, che non era che un mozzo, ma aveva preso la cosa molto a cuore, non aveva però la più pallida idea di come distinguere un dotto re da un re con una normale cultura o peggio ancora, da un re del tutto ignorante.

A CACCIA DI IDEE

Per farsi un’idea meno pallida, provò a metterne una al sole, anche se prima dovette scovarne una, dato che, ricorderete, in principio non aveva neanche quella. E anche scovarla non fu facile, poiché dovette sfilarla da sotto una gallina per niente condiscendente.
Una volta ottenutala, si fece un po’ prendere dallo zelo e la piazzò al sole di mezzogiorno, con l’autoabbronzante e senza un briciolo di protezione, così che scoprì verso sera di aver fatto bel un pasticcio: abbronzata com’era, la sua idea non era per niente chiara. In compenso il pasticcio era il suo piatto preferito, e si fece una gran scorpacciata anziché pensare a una soluzione.
Fortuna che la soluzione venne da sé, perché l’idea, che a dirla tutta era un po’ scapigliata, sentì un impellente bisogno di ordine e si tuffò in un secchio di brillantina col solo scopo di farsi la riga di lato.

FINALE LIGURE (erano attraccati lì!)

Così facendo, divenne un’idea sensazionalmente brillante, e diede a tutti preziosi suggerimenti:
riguardo alla barca, chiarì all’istante di dimenticare re di sorta, la cui saggezza si sarebbe conosciuta solo dopo molti anni di governo (il re di Sorta se la prese un po’, perché regnava su Sorta da parecchio e gli pareva di aver fatto un buon lavoro).
Il mal di plancia passò dopo verniciata e una bella festa sul molo, che diede alla barca buonumore sufficiente per navigare ancora molti anni senza scricchiolii.
Quando la barca infine partì, Giangerolamo guardava assorto verso riva e un raggio di sole brillava nella direzione del vento.

domenica 17 giugno 2012

la spilla Camilla


Conosco Camilla
è solo una spilla,
ma vi giuro, brilla
come una scintilla.

C’è pure uno spillo
di nome Camillo,
mi spinge ed oscillo
che sembro un birillo.

Le vuole cantare
il sole ed il mare,
ma nella capocchia
un po’ si impastrocchia.
Perciò l’altro dì
cantava così:

“Camilla sei bella
come una stella
in una padella,
tranquilla però
non ti cuocerò!”

“Camilla sei brava
come una rava,
ti mangerò?
Certo che no!
(Magari ti assaggio
nel mese di maggio
ma giusto un pezzetto
e poi te lo rimetto)”

"Camilla sei bionda
Come una fronda,
e con una fionda
dall’altra sponda
del fiume Po’
ti lancerò.
(dall'altro lato
ti prendo al volo,
e se ti manco
rimango solo)"

Camilla lucente
ho il tartaro a un dente
ma per te giuro
che me lo curo
(vedrai che bello
dopo il dentista
passo il casello
e mi metto in pista)”.

Camilla all’inizio è un po’ orripilata
A ritrovarsi così corteggiata
ma poi brillando, vede un po’ meglio
che Camillino la ama sul serio
(che non è un fiume, ma grande amore
partono insieme, tra poche ore). 

sabato 16 giugno 2012

Ambaraqualcosa


Ambaracociccibabbà
Se sto a casa non son qua
Se sto qua non sono al mare
Dove imparerò a contare
Perché il mare ha un’altra età
Ambaracociccibabbà

Ambarabacciccicoccò
Il dottore ha detto “oibò!”
È guarito alle ore sette
E ha trovato 3 civette
A far cosa non dirò
Ambarabacciccicoccò.

argo pollo


Ho un amico che è un impiastro,
il colore è un po’ olivastro,
se lo chiami parte a nastro
ma farà qualche disastro.

Il suo nome è Pollo Argo,
se non dorme va in letargo,
se è in letargo non è qui
e non ci dirà “buondì!”

Di cognome fa Argo Pollo
ride poi fino al midollo,
il midollo è un po’ allungato,
se dell’acqua ci ha versato.

L’acqua sta sulla credenza
e gli mette sonnolenza.
Quando dorme, perlomeno,
di pasticci ne fa meno!

c'è bugia e bugia


C’era un tale non troppo sincero,
che camminava a mezz’aria nel cielo,
ma le bugie hanno un peso specifico
e cadde giù con un tonfo magnifico.

Bisogna dire, per buona fortuna,
che stava a mezz’aria sulla luna,
così che il tonfo non gli fece niente
e camminò fino al tempo presente.

Cammina cammina fin sulla terra,
gli capita un bollettino di guerra,
e cosa dire? Mica gli piace,
così dice a tutti che è giunta la pace.

Gli credono proprio tutti quanti,
e ai generali che gridano “Avanti!”
La gente risponde “mica ho suonato!”
e si rimette a giocare sul prato.

Così quel tale, nel passeggiare,
si è ritrovato di nuovo a volare,
perché non si mente coi paroloni
se erano buone le intenzioni. 

venerdì 15 giugno 2012

un merluzzo per amico (non un merluzzo per ogni amico, ma proprio un amico merluzzo)


Ho un amico che ha molto fegato, solo è che è fegato di merluzzo. Pertanto, il mio amico è un merluzzo. Lì per lì non l'ha mica presa bene, pensate che all'inizio era convinto di essere un semplice merlo e si stava già preparando a tuffarsi in uno spettacolare volo radente dalla cima del castello. 
Del castello, tuttavia, non riuscì ad essere nemmeno un semplice merlo, perché il ciambellano li aveva appena contati tutti e non ne mancava neanche uno.
Provò allora a farsi un po' più piccolo e a spacciarsi per mago Merlino, ma fu subito scoperto, non tanto perché gli mancava la mano negli incantesimi, quanto per la notevole assenza del cappello azzurro, o della soffice barba bianca indispensabile in queste circostanze.
Tentò altre vie ancora, ma si accorse presto che poteva andargli ancora peggio: nonna Palmira, difatti, stava già iniziando a cucirlo tra i mille merletti del suo ultimo centrino.
Così se la diede a gambe, non so quali poi, dato che nella fuga si tuffò in mare e proprio lì poté constatare, di fronte allo specchio dell’acqua, di essere definitivamente un merluzzo.
Neanche fosse tornato a scuola, fece amicizia con un banco di merluzzi che albergava di poco sotto la superficie dell’acqua. Ma entro poco tempo, decise di salutare tutti e partire alla volta dell’oceano, in un giro infinito di esplorazione degli abissi.
Di sicuro ci voleva un bel fegato, anche se era solo un fegato di merluzzo. 

giovedì 14 giugno 2012

una banda di parole


Ho sbandierato una bandiera, che non è una venditrice di bande, ma che è una banda dalla parrucchiera.
«Tutta una banda? Una banda colorata o una banda di liutai?»
«Mi scusi, liutai no, il liuto mi dà lo starnuto, inoltre liutai tutto ieri e oggi vorrei fare un po’ di pausa.»
«Una banda colorata, quindi. Di che colore? E cosa ci faceva dal parrucchiere?»
Comprava una parrucca, che è una mucca che voleva fare il parroco, ma fu misconosciuta dalla curia per via della sua incuria e dovette accontentarsi di una pannocchia, che non sarà una parrocchia ma è sempre meglio che non sgranocchiare niente.
La banda era molto verde (credevi che me ne fossi dimenticato?), di preciso verde foglia.
«E la foglia?»
Verde banda, con una venatura violacea, che è una viola un po’ coriacea ma che si va via via ammorbidendo.
Matematicamente si potrebbe dire che, cambiano l’ordine degli ammorbidendi, il bucato non cambia.
«Magari non cambia, ma rimane bucato?»
Rimane bucato finché qualcuno non ci mette una pezza. Bisognerebbe chiamare un pezziere, ma riesco a trovare soltanto tappezzieri, che sono pezzieri molto bassi. O almeno erano pezzieri, speriamo pezzoggino ancora (e non tappezzino invece Gino, come qualcuno potrebbe pensare). In ogni caso restano bassini, per cui c’è da sperare che il bucato non si sia cacciato troppo in alto, o almeno che sbuchi in mano a qualcuno con le mani bucate, da cui il bucato possa cadere a portata di tappezziere.
Ma se ci avete fatto caso, una volta che qualcuno SBUCA, il problema del bucato è risolto senza bisogno delle pezze, con buona soddisfazione di tutti i liutai che erano stati eliminati dalla storia ma con cui siamo rimasti in buoni rapporti, e che ci scrutavano da una collinetta sperando che tutto finisse per il meglio. 


mercoledì 13 giugno 2012

la lingua dei fiori


Ho un amico che si chiama Rodolfo ed è amico di un suo amico, che si chiama Rododendro. Insieme stanno cercando di imparare il linguaggio dei fiori. Meglio: Rododendro sta cercando di insegnarlo a Rodolfo, anche se, a dirla tutta, qualcosina da imparare la ha ancora anche lui.
Rodolfo impara, poco a poco. Ad esempio:
per contattare un girasole, non si può fare altro che parlare la lingua del sole. È una lingua strana, che esce dagli occhi. Per parlarla, dicono che si debba aver inspirato forte tutto l’amore del mondo. Rodolfo sostiene che ne basti anche meno, che basti anche solo un pensiero: "magari i girasoli faranno più fatica a sentirti", dice lui, "ma ti risponderanno in ogni caso con il loro sorriso cortese."
Oppure si può provare a parlare la lingua delle Violette. Per quella, sarebbe meglio chiedere alla mia amica Violetta, che però proprio oggi è fiorita in un prato un po' fuori mano. 
La lingua dei Rododendri è un po’ più semplice perché, come si poteva capire già da prima, questi fiori parlano il linguaggio dell’amicizia.
Ogni fiore parla una lingua diversa, ma ogni fiore scappa appena riesce verso una luce che è sempre la stessa, che è quella del sole. Il sole non si riesce quasi mai a guardare, finisce che bruciano gli occhi e per questo i fiori sbocciano senza nemmeno preoccuparsi di aprirli.
Se è per questo nemmeno il sole li apre, direte voi, o forse dice Rodolfo. 
Non li apre: sboccia ogni giorno ad occhi chiusi sopra tutti i prati, tutte le teste e tutti i pensieri, porta in dono tutti i colori del mondo senza nemmeno sapere chi li riceve.

In questo modo, Rodolfo e Rododendro stanno imparando la lingua dei fiori, e forse molte altre lingue. 

martedì 12 giugno 2012

una strizzata di occhio

Un giorno arrivò un tale e strizzò l’occhio a un altro signore.

«Ahia! »
«Che c’è? »
«Mi ha strizzato l’occhio! Scusi, ma le sembra?»
«Non mi sembra per niente, e a lei cosa sembra?»
«Che mi abbia strizzato l’occhio, mi sembra! Anche sì il mio preferito, mi scusi ma non si poteva strizzare il suo?»
«Ma è proprio quello che ho fatto, non trova?»
«No che non trovo!»
«Male! Non lo sa che le basterebbe cercare?»
«Senta un po’: io non avevo perso niente, lei però l’occhio me l’ha strizzato lo stesso! Aveva almeno lavato le mani?»
E il tale, che non le aveva lavate per niente, levò quantomeno le gambe e se la filò a gambe levate. Ma da allora in poi, per sicurezza, non strizzò più l’occhio a nessuno e salutò tutte le persone facendo semplicemente l’occhiolino.

venerdì 8 giugno 2012

cosa vai cerchiando?

Se trovi cerchi
se cerchi trovi,
se cerchi i cerchi
non trovi i rovi,
ma trovi i cerchi
che poi ritrovi
se li ricerchi. 

Ma se li cerchi 
scopri da te,
era uno solo 
e ora son tre,
concentrazione 
non gliene manca:
son cerchi concentrici
su carta bianca!

giovedì 7 giugno 2012

il guardaboschi


Un giorno, un grande diplomatico, incontrò per caso il procuratore di brindisi. Sfortunatamente, questi non gli procurò neanche un Brindisi, ma appena un aperitivo scarno scarno. Per la delusione, il diplomatico rinunciò al diploma, scambiandolo con una licenza media; così venne in media licenziato. Si accorsero presto, tuttavia, che non si poteva licenziarlo in media: andava licenziato in tronco. La sua licenza media fu quindi sostituita con una licenza da taglialegna. Già che c’era, se la giocò a biglie con un guardiaboschi e vinse anche la licenza di quest’ultimo. Così che oggi, il nostro grande diplomatico, passa la giornata a guardare i boschi, saluta gli scoiattoli quando saltano sui rami e brinda con acqua di sorgente alla luce del giorno.


mercoledì 6 giugno 2012

stati d'animo

Ho un casino in testa che la metà basta
così ho detto basta alla metà che resta.
Bel colpo di testa, mi farò una cresta
proprio a mezza testa.
Ci farò la cresta, mi ci terrò il resto,
mangerò una crosta e se la lancerò,
sarà una crostata ed io la mangerò.

il tallone della bertuccia


Il povero Achille aveva un cruccio,
ma lo teneva dentro un astuccio.

Vi dico ora una cosa mattana:
l’astuccio era uguale a una grossa banana!

Più tardi è arrivata una bella bertuccia,
che ne ha avanzato soltanto la buccia. 

La cosa non fu niente affatto carina,
difatti di colpo, la poverina

si ritrovò così, in pianta stabile
con un tallone assai vulnerabile. 

La scimmia prese un aspetto sconvolto,
ma la soluzione non tardò molto: 

le ricordò il suo prozio Gedeone
che le bertucce non hanno il tallone.

la candeggina


Ho un amico un po’ irritato:
l’han pettinato dal lato sbagliato.

Non solo: il mio amico si chiama Lino
ed hanno usato uno spazzolino,

ma subito dopo uno spazzolone,
il che ha complicato la situazione:

infatti suo nonno, che dorme in bagno,
voleva usarlo contro ad un ragno,

ma poiché era sporco di brillantina,
gli ha fatto un lavaggio di candeggina.

La candeggina, in qualunque misura,
produce danno alla pettinatura,

difatti il mio amico, già un po’ spettinato
si è ritrovato di colpo invecchiato. 

martedì 5 giugno 2012

la presa


Ho un amica un po’ incompresa
senza dita nella presa
ma la presa è un po’ incallita
e va lei verso le dita.

Non le piace, non va bene
ma per far contento Gene
(di elettronica studente,
che capisce poco o niente)

solo un dito, per favore,
ficca dentro, ma che errore!
Era la presa della Bastiglia
E non vi dico che parapiglia!

Sono usciti dei francesi
Che non vedeva da mesi,
sono usciti gli ostrogoti,
di sicuro meno noti,

Uno di questi ha un naso bionico
che serve a sancire l’errore storico:
la storia difatti è tutta sbagliata,
ma la mia amica così l’ha imparata.

La studia di fretta, da qualche mese,
con tutte le dita ben dentro le prese,
e se le toglie perché son tante
ecco di colpo che torna ignorante. 

lunedì 4 giugno 2012

la specialità


Se io varco qui una soglia,
mi ritrovo in una sogliola,
se qualcuno poi la sfoglia,
si ritrova su una fogliola,

che è una foglia che fa “hola!”
e chi ancora non lo sa,
dovrà certo andare a scuola
a imparar ste cose qua.

Quando bene le ha imparate
e non sa cos’altro fare,
può ben ridere a palate,
nelle pause poi cantare.

Le palate di risate
vengon buone per Natale,
quando sono appassionate
e ciascuno è un po’ speciale.

Ma diceva anche un mio amico,
nato un po’ dopo settembre,
che, dal naso all’ombelico
son speciali tutti sempre.